Il museo permanente del Carro a Buoi

``Il Carro a buoi attraversa i sentieri della nostra terra percorrendo l’invisibile filo della memoria``
Gianfranco Serra
Da visitare il museo del Carro a Buoi allestito all’interno dell’agriturismo
“A li carrulanti”

(Dedicato ai conduttori e costruttori di Carri a Buoi)

Il carro a buoi è stato da sempre, in Gallura, il principale mezzo di trasporto e di lavoro.
Questo piccolo museo nasce per ricordare tutti coloro che nel Novecento hanno percorso sul carro a buoi le strade (li camini di lu carrulu) della Gallura e dell’Anglona, nord-nord est della Sardegna.
Tra gli altri zio Agnuleddu Sanna ed il figlio Pietro, carrulanti ma soprattutto mastri d’ascia (costruttori di carri a buoi).
Oltre che a tutti i carrulanti della Gallura, il museo è dedicato in particolare a mio nonno Antonio Serra, noto Antoni Miloni, e a mio padre Andreuccio Serra, noto Babbai, entrambi carrulanti.(Gianfranco Serra, titolare dell’Agriturismo Il Muto di Gallura, 2016)

“Vedemmo una lunga fila di carri…”
Sulla cima di una collina vedemmo una lunga fila di carri, ognuno tirato da un paio di buoi.
La fila si fermò alla curva della strada, e nella pallida luce di quel freddo pomeriggio domenicale i pallidi buoi, i pallidi carri e gli uomini che li guidavano parvero una visione: un disegno di Doré.
(David H. Lawrence, Mare Sardegna, 1923)
Voci e passi risuonavano dolci.
Sopraggiungeva qualche carro di contadini, trainato da buoi sonnolenti, qualche uomo a cavallo, qualche tarda donnicciola che ritornava dall’aver lavato i panni al torrente.
Le ombre si allungavano di traverso sulla strada bianca, le voci e i passi risuonavano dolci nell’aria molle e profumata.
(Grazia Deledda, Cosima, 1937)
Quel cigolio rubacuori.
Su certe strade sconnesse il carro a buoi emette un cigolio ritenuto un segnale di buon auspicio: caccia gli spiriti maligni e conquista al conducente il cuore delle belle.
Ancora oggi, quando si incontra un carro particolarmente rumoroso, si dice, con battuta rituale: “Ecco uno che ha molta voglia di sposarsi”.
(Maurice Le Lannou, Pastori e contadini di Sardegna, 1941)
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Com’è fatto Lu Carrulu

(il carro a buoi)

Si sceglie un bel tronco di leccio (liccia) o di quercia (chelcu), ben dritto magari con una lieve curvatura ad una estremità, per ottenere la coda del carro leggermente rialzata.
La lunghezza canonica e pari a 5,10 m.
Si spacca il tronco dalla coda fino a circa 80 cm dalla punta, dove si piazza un anello di ferro (la loriga) per bloccare l’apertura.
L’inserimento di traversine (traessi) di lunghezza crescente dà al tronco la tipica forma triangolare (la scala).
La larghezza massima della gola è pari a 1,25 m.
Sul puntale (la puntetta) si inseriscono due barre di legno: una verticale (lu parapinnenti), funge da appoggio, e una orizzontale (la capigghja) che serve da appiglio per il giogo (lu ghjuali).
Due tavoloni trasversali formano i sedili (li banconi). In essi si inseriscono le spallette laterali, formati da brazzoni e jacareddhi.
Sotto, a circa metà dello spazio tra i due banconi, si colloca un asse trasversale di 1,05 m (lu fusu) nel quale si inseriscono le ruote.
La ruota (la rota) è composta da cerchio e raggi interamente in legno.
Il battistrada è protetto da un cerchione di ferro (lu cilciulu di farru).
La ruota è fissata al fuso inserendo un cuneo di ferro (lu chjudittu) nell’apposita sporgenza centrale (lu fiascu).
Il sistema frenante (la meccanica) è composto da un bastone che preme un tacco di legno (lu taccu) contro la ruota.
Si ottiene infine il pianale ricoprendo la lunghezza interna del carro di ramoscelli lunghi e flessibili di frassino (li ‘eltichi), intrecciati lungo le traversine.